Tu dunque sol le meraviglie nuove

Autore: Gaci, Cosimo

Del Reverendo Signor Cosimo Gaci. Egloga. Mirenio ed Erilio

Mi. «Tu dunque sol le maraviglie nuove
de' nostri tempi, Erilio mio, non sai?».

Er. «Danne colpa ad amor, che sì mi preme,
che deserte campagne, inculti poggi,
disabitate selve, antri e spelonche, 5
remote valli e solitarie rupi,
grotte e caverne ha dato al mio dolore
per compagnia conforme e per albergo.
Ov'io talor di questa cetra al suono,
accordando, oimè lasso, un flebil canto 10
mostrator ne' suoi lai de' miei martiri,
commossa dal mio mal sudar la terra
ho visto, e per pietà piangere i sassi».

Mi. «Crederrò ben, che quei riposti orrori
ti sian, come tu di', case e compagni, 15
se non hai di quel marmo il nome udito
di ch'io dianzi parlai, di cui si spande
non pur negli ampi regni della terra,
ma fin sovra le stelle altero grido.
Ma dimmi prima ond'hai sì duro affanno 20
prego, s'amor l'acqueti? Ed io, da poi,
spero farte sentir mirande cose
non più forse accadute ai tempi nostri».

Er. «Saprai sol, che s'all'uom (come quel saggio,
che l'oracol d'Apollo in cima pose 25
de' sapienti greci, avea desio)
fatto avesse natura in mezzo al petto
una finestra, ond'apparisse aperto
l'altrui cor, non sarei misero tanto,
che chiara si vedria l'onesta fiamma 30
da gli sfrenati ardori in tutto sciolta,
ch'accese nel mio cor casta e gentile
bella ninfa leggiadra, onore e gloria
delle selve e del mondo, in cui risplende
pare di castitade e di bellezza 35
sereno lume; e chi può creder mai,
che chiara luce oscure fiamme accenda?
Si vedria parimente il bel desio,
ch'ho di mostrarla con verace loda
a le future età chiara ed illustre; 40
il che spero anco far, se 'l pianto e 'l duolo
con quest'occhi e col cor faranno tregua
e lascieranno i miei pensier dolenti,
senza turbarla con noioso assalto,
almen queta talor l'afflitta mente. 45
Apparirebbe ancor, com'io vorrei,
che più tosto lioni, orsi e serpenti
sbranasser le mie carni e con furore
l'altero incarco del superbo Atlante
sopra me ruinasse, che pensiero 50
aver di procurarle onta, o vergogna
con atto indegno; e che di sua beltade
sol desio d'appagar l'avido sguardo,
ch'altrui nulla già mai d'onor può torre.
Può ben con loda de l'amato obbietto 55
trar da' suoi lumi ne l'amante ingegno
virtù da sollevarlo a l'alte cose
e sublimi concetti riportarne,
da mostrarli in parole ornate e chiare
d'ambidue vera gloria: ma ti prego 60
tornami a dir del chiaro marmo il vero».

Mi. «Molte son tra le genti opinioni,
che s'han di lui: com'io l'altr'ieri intesi
passeggiando il gran prato in cui si vede
sott'alta loggia dal sinistro fianco 65
de l'albergo regal del sommo duce:
com'io ti dissi in quel bel marmo appare
un giovane gagliardo e ben formato,
che con le braccia sopr'al petto stringe
giovinetta donzella, che ritrosa 70
sembra far forza da gli abbracciamenti
del giovane disciorsi, e sotto a questi
posar si vede in bello scorcio accolto
un vecchio, che la destra in terra posa
e sopra gli occhi la sinistra alzando, 75
par che con meraviglia in alto miri.
Lasciamo star che 'n lor chiaro si vede
quanto natura in bel composto adopri
di belle membra; e che non è pastore
che, mirando il bel viso, i fianchi e 'l seno 80
della vaga donzella, amor no 'l prenda;
e che ninfa non è, cred'io, che miri
del giovane gagliardo il petto e 'l dorso,
e delle belle gambe e delle braccia
i muscoli e le vene, che non senta 85
desio che 'l suo pastor pari a lui sia;
e che del vecchio i ben formati membri
a molti fan parer che spiri e viva.
Questo si lasci: i lor potenti affetti
mostran così che ben di freddo marmo, 90
com'essi, è chi li mira e non si muove.
Io per me, quante volte alzo le luci
al bel viso gentil della donzella,
e riconosco in lui doglia e disdegno,
e veggio con che forza ella s'adopra 95
disciorsi da l'amante, anch'io con lei
d'ira m'accendo e dico: "Ah giovin fero,
cui lascivo desio move ed accende,
lascia la bella ninfa! Ah non sai forse
quanto è di poco amor segno la forza? 100
Con molta reverenza i veri amanti
a l'amata beltà davanti stanno.
Che cerchi tu da lei? Che vuoi tu torle?
Quel che tu forse brami, se non viene
da libero voler, se con amore 105
non si concede, poco o nulla piace".
Se il giovane da poi miro nel volto
e gli odo dir: "Deh bella ninfa altera,
anzi fera crudel, che t'ho fatt'io?
Perché mi spregi sì, perché mi sdegni? 110
Dunque è loda schernir devoto amante?
S'io t'offendo è d'amor colpa e non mia.
Maggior forza mi fa fiero desio
c'ho della tua beltà, che non è quella
ch'io ti fo: più non posso, ond'io ti prego, 115
mia vita, di perdono e di pietade".
Se ciò mi portan gli occhi entro al pensiero
anch'io dico a la donna: "Ah vaga e bella
ninfa, è gran crudeltà fedele amante
di soverchio desio lasciar perire. 120
A cui darai delle tue dolci labbia
i cari baci, s'a costui li neghi,
cui la sete farà così soavi?
Non di tutti gli amanti il gusto è pari.
Quel ch'è piacere a molti altri non vuole. 125
Le cose ha da donarsi a chi le stima.
Lascia l'orgoglio omai, mostra pietose
le care luci al tuo devoto amante".
Se 'l vecchio miro, anch'io mi meraviglio
della sua meraviglia e dir vorrei 130
seco qualcosa: ma la lingua e l'altro
lo stupor m'indurisce e fammi un marmo».

Er. «Pongon vivo desio le tue parole
nel mio cor di veder tal meraviglia».

Mi. «Fa 'l mio parlar in te quel che la fama 135
opra in ciascuno, ove di lor s'intende.
Fin di lontane parti desiando
corron molti a vedere i nuovi marmi,
in cui per che si scorge apertamente
spirto vital, quel che non può con l'arte 140
altri che GIAN BOLOGNA dimostrarne,
quel famoso scultor de l'età nostra,
cui pari oggi non vive; ogn'uom si crede
che questa nova meraviglia altera
sia di sua dotta mano opra gentile, 145
e ciascun vuol che cedan tutte a lei
e d'Atene, e di Sparta, e di Corinto,
e di Smirna e di Rodo i bronzi e i marmi,
come in loda di lei saggio pastore
ha scritto gentilmente. Altri, mirando 150
espresso in quel bel marmo il vivo ratto
di quel giovan feroce, un grido mosse
che fè sonar d'intorno le contrade,
che si sentia rapir dal marmo stesso.
Chi del dotto scultor, di ch'io t'ho detto, 155
vuol che sia la bell'opra, aver inteso,
dice, il fabro intagliar l'altera preda,
ond'al seme roman sabina terra
produsse quella pianta eccelsa e grande,
che stese un tempo i gloriosi rami 160
fin dal gelato Scita al caldo Mauro.
Disse un dotto pastor che la donzella
era l'eterna idea della bell'arte,
e 'l fabro il predator che la rapiva
a lungo studio, il qual volea che fosse 165
di quel canuto veglio il simulacro».

Er. «Questi son tutti di pastori accorti
saggi pensieri. Or io da te vorrei,
Mirenio mio, gentil saperne il vero,
se (come mi dicesti) inteso l'hai, 170
ma 'ntender pria (se 'l sai) da te desio
dond'è 'l dotto scultor di cui si crede,
che sia fattura il glorioso intaglio
de novo marmo, et in che tempo e come
ov'al grand'Arno suo fa letto e sponda 175
la bella Flora ad abitar si venne».

Mi. «Là dove con la Fiandra il Gallo parte
vicino al Bolognese, il cui terreno
de l'irato ocean l'acque interrompe,
ove poc'oltre il fiume Scarpe arriva 180
a versar l'onda al grande Schelda in seno,
e seco per Anversa al mar se 'n corre,
siede una mercantile e grossa terra
il cui nome è Douai. Qui costui nacque,
e d'onesti parenti il genitore 185
che ne' verd'anni suoi conobbe ingegno
(per andarne ancor ei col volgo errante,
che più pregia l'aver caduco e frale,
ch'immortal gloria) ancor ch'a la bell'arte
piegato, e con maniera il conoscesse, 190
stimando ch'ei potea con penna vile,
vendendo le parole agevolmente,
più che con lo scarpel, d'oro avanzarsi;
rogator di procure e di contratti
volea che fosse, ma costui, che 'l core 195
avea disciolto dalla volgar gente
e di desio di vera gloria acceso,
seguir propose il naturale instinto,
e per veder degli scultori antichi
e de' moderni ancor l'opre più rare, 200
chetamente partì dal patrio lido
e si condusse alla superba Roma.
Ivi del suo desio saziò gran parte
e con accorto studio in breve trasse
in acconcia materia de più rari 205
marmi la forma, e, come se tesoro
riportasse alla patria, allegro e pago
a lei facea ritorno, e per vedere
della nobil Fiorenza i marmi illustri
passò per quella; nel fermarsi in lei, 210
per trarne quel ch'avea da Roma preso,
fu da gentil pastor, molto intendente
et amator di discipline e d'arti,
contesemente accolto e persuaso
per seguire il suo studio ivi a fermarsi 215
un anno almen. Tanto il trattenne e tanto
li fu cortese e con amor l'accolse,
che lo commosse a far saldo pensiero
di restarsi in Fiorenza, ove ne l'opre
di Michelangel, di Donato e d'altri 220
facendo studio e, avanzando ogn'ora,
sé stesso in bell'oprare a' più famosi
che scolpisser già mai pari divenne;
di che fan piena fede i chiari marmi,
che da la rozza con mirabil arte 225
ha tratti fuori, e 'n gentil forma sculti.
Sei lustri or son, che pia nodrice e cara
gli è stata Flora, che di rari ingegni
fu sempre, se non madre, almen nodrice,
de' quai cinque a' servigi è stato presto 230
del grand'eroe, ch'i toschi campi e 'l mondo
col suo splendore illustra, e che gli spirti
saggi e d'aspettazion porta e sollieva.
Questo è quanto di lui potuto in breve
n'ho raccontarti, ed io tanto ne 'ntesi 235
da quel vecchio pastor che pria l'accolse».

Er. «N'ho provato nel cor sommo diletto
e ti ringrazio; or prego mi racconta
quel ch'hai sentito di quel chiaro marmo,
che con illustre grido empie la terra». 240

Mi. «In due modi n'ho udito: il primo è questo,
che 'l famoso scultor non questo o quello
ratto avea finto, e che quanto si vede
tutto opra sua non è, ma che la donna
mirabil, com'appare, in marmo finse. 245
Dicon che questa fu veduta poi
da giovane amoroso e ch'egli, ardente,
mosso dalla beltà che 'n quella pietra
sembrava viva, a lei volando corse,
e nel baciar le fredde e dure labbia 250
le conobbe di sasso, e d'esse amante
ottenne poi dal nume che governa
la terza sfera a quel bel marmo vita,
il qual poi che vivendo ebbe possanza
di sentire e conoscer, nel mirarsi 255
donna a giovin lascivo ignuda in braccio,
n'ebbe rossore e sdegno e fece forza
di torse al caldo amante; onde fu poi,
ch'ira la donna e l'amatore affanno,
e 'l fabro lo stupor fecer di marmo». 260

Er. «Gran miracol mi narri e parmi in vero,
che 'l dotto fabro onor di sì bell'arte
sia d'anteporsi a Dionisio Argivo,
a quei che fè di bronzo il gran destriero
ch'in Altino d'Olimpia era in onore 265
di Formide il pastor, ch'Arcadia onora,
del cui destrier si legge meraviglia
che posto ch'ei senza la parte fosse,
ch'è l'importuna mosca a cacciar presta,
era l'altro però sì ben formato 270
che maneggiar pareva ed anitrire,
ond'accadea che mai per quelle parti
non si vedea passar destrier perfetto;
altri li volea far freno, e riparo
rompea, gettando il cavaliero a terra, 275
e 'ngannato da l'arte, il vago dorso
con le zampe premea del destrier finto.
Or, se di più saver quel gran pittore,
che 'ngannò l'altro col mirabil velo,
tenuto fu che quei che de gli augelli 280
mosse il desio con la stupenda vite,
per ch'animal dotato d'intelletto
fè travedere, il dotto Giambologna,
che con saver del suo scarpello illustre
trasse a pensar che fosse donna viva 285
la sua scultura un giovinetto ardente,
a Dionisio Argivo ha d'anteporsi;
poi che l'occhio ingannò, ch'a l'intelletto
oltre al senso comun porta gli obbietti.
Tanto a me, anzi a costui non solo, 290
tengol'io d'antepor: ma anco a quanti
latini, e greci e pria furo in Egitto,
che di bronzi e di marmi in bella forma
con intero saver mostrasser opre.
Ma questo anco mi par vago pensiero 295
d'accorto ingegno. La gentil figura,
di ch'io parlai, di man del saggio artista,
che mi fece stupir, l'altrier vid'io
ne l'alto appartamento del gran Duce,
cui frutto de' miei campi in dono offersi». 300

Er. «Questa ho veduta anch'io: bella di sorte,
che porge a la natura invidia e sdegno,
ma non può lo scultor formata averne
un'altra pari?». Mi. «In ver può farlo, e forse
darei credenza a quanto dissi anch'io; 305
s'i' non avessi poi veduto altrove
il fabro, che costor fan lì di marmo,
sì che più tosto crederrò che sia
quant'io n'ho d'altra parte inteso poi».

Er. «Dhe, fa ch'io sappia ancor questo, ti prego». 310

Mi. «Quel simulacro, che degli Eritrei
da Tiro di Fenicia a i porti venne
sovra più legni con poc'arte accolti,
senza come o perché sapersi mai
ch'altrui rappresentava il forte Alcide, 315
cui per trarre a la riva in sonno apparve
al vecchio Formion, che le donzelle
dovessero d'Eritra il biondo crine
tondarsi e compor d'esso altero fune,
ch'in un tempio da poi per questo eretto 320
appresso gli Eritrei molt'anni stette;
uscito fuor delle ruine antiche,
per che via non si sa, quest'anno addietro,
sopra gli usati legni al mar Tirreno
venne senza custode e 'n quella spiaggia 325
propria fermò, ch'ha Seravezza a fronte,
visto da gli abitanti in quella parte,
ne preser meraviglia, e più che venne
fortuna, che del mar l'acque turbando
con feroce tempesta il sacro marmo 330
come scoglio già mai nulla si mosse;
ond'esse al gran rettor de' toschi lidi
la novella mandaro, ed egli a punto,
se ti rammenta, è l'anno a quelle spiaggie
dal suo fiorito albergo si condusse. 335
Vide il bel simulacro e fece prova
di trarlo a terra, ed oprò tutto indarno.
La notte poi presso al mattin gli apparve
il dio, compagno del robusto Atlante
a sostener le stelle, e 'n dir gli aperse 340
(come ad Eritra avvenne) ch'una parte
delle dorate chiome aver curasse
d'ogni ninfa gentil delle sue selve
e che d'esse e di seta e di fin auro
compor facesse un fune e che con questo 345
avria potuto agevolmente trarre
a suo piacere il marmo. Ei, come prima
fu dal sonno disciolto, all'opra intese
e da tutte le ninfe de' suoi lidi
quel di ch'avea desio raccolse in breve. 350
Sol una, che ne campi, ove di Flora
vagheggia Arno, il bel sen gonfia e superba
se 'n già di sua beltà, dispregiatrice
fu del comandamento, e le sue chiome
nido de cori altrui scemar non volse. 355
A questo non s'attese e fè comporre
l'ottimo sir, col più veloce spaccio
che si potesse, il detto fune e poi
ne fè legar con reverenza il marmo.
Né fu possibil mai, con quanta forza 360
opra si fè, con argani e triremi,
di condurlo a la riva, che pur segno
d'alcun moto facesse, e 'n quella parte,
ov'apparia spiccato sopra l'onde,
come fondata torre immobil era. 365
Ascosi già del gran pianeta i rai
s'eran nell'occidente e i curatori
dell'opra avean da lei preso congedo:
quando l'eccelso eroe quasi deluso
tornò d'ira infiammato a le sue tende. 370
Vid'ei nel sonno poi la notte appresso
de la superba ninfa il van dispregio
e che di questo irato il grande Alcide
a l'impromessa sua l'effetto tolse
e che non mai di là mosso sarebbe, 375
se genuflessa a domandar perdono
non comparia la ninfa a quelle spiagge.
In somma ella vi venne e con che duolo,
pensil chi sa quanto la forza adopri
in cor superbo, e molti avean pietade 380
de l'estrema beltà del viso adorno,
ch'ogn'uom credea che lo sdegnato nume
prendesse del suo fallo aspra vendetta.
Come la bella ninfa al lido apparve
del simulacro a fronte, e che l'arene 385
in segno d'umiltà premer voleva
con bel ginocchio e domandar pietade,
o miracol subblime, e chi no 'l vide
or come il crederrà? Parlando il marmo
forte intonò ch'ogn'uom l'udì d'intorno. 390
"Non far, diva beltà, ch'a te debb'io
domandar di tua noia umil perdono";
e nello stesso tempo sopra l'acque
correr si vide e trasportarsi a terra,
e di quella beltà che vince il sole, 395
come se carne e spirto avuto avesse,
fatto ardente amator, le braccia stese
e le labbia accostando a quel bel viso,
le strinse il dolce braccio e 'l largo fianco.
Ella in cambio d'aver per alta sorte 400
il veder che vendetta al suo fallire
non seguiva, anzi don d'eccelso amore,
con suo solito orgoglio indietro il volto
traendo, ingrata, a l'amator di braccio
facea forza levarse. Or meraviglia 405
non dee parer se di mortale amante
ebb'ella un tempo il cor devoto a sdegno,
poi che quel dispregiò di sacro nume.
Onde miracol novo al mondo apparve,
che Nemesi, la dea de' falli ultrice 410
de le superbe menti, a sdegno mossa,
ivi comparse e con altera verga
la percosse, e cangiolla in freddo marmo,
e la fè rimaner di quella forza,
ch'ella adoprava, al divo amante in seno, 415
il qual per più mostrarsi a lei simile
tornò, senza lasciarla, immobil sasso.
Un vecchio, che di lei cura tenea,
ch'a farle compagnia là si condusse,
ciò rimirando e d'alta meraviglia 420
preso nel cor (né lo credendo a pena),
a quei si trasse, e mentre con la mano
tastando già, se sentia carne o sasso,
dallo stupore oppresso e dalla doglia,
a lor piedi ancor ei marmo rimase. 425
Qual fosse, il pensa tu, l'alto stupore
de' popoli attendenti; or questo altero
spettacol volse Nemesi, che fosse
chiaro e palese a' naviganti un anno,
perché di cruda ninfa il duro scempio 430
se 'n volasse dal mare a l'universo.
In questi ultimi giorni Ercole apparve
al gran FRANCESCO e lo pregò che quindi
col detto fune a Flora il conducesse,
il che fu fatto agevolmente e 'n breve, 435
e posto in quella parte, ov'or si vede,
fa spesso altrui con sua mirabil vista
restar di sensat'uom stupido sasso».

Er. «Miracoli ho da te nel ver sentiti,
né cred'io mai Nesto Licea, ne 'l greco 440
Partenio aver, né meno Ovidio mostro
simil trasformazion nelle lor carte
né che di più stupore empisse altrui.
Et è maggiore assai quel che dicesti -
che 'l simulacro articolata voce 445
mandò dì fuora e 'l suon delle parole
chiaro s'udì - che non è quel ch'io 'ntesi
del gran colosso che Cambise a terra
pose in Tebe d'Egitto, il qual, venendo
fuora il sol ciascun giorno, un certo strido 450
dava, ch'altrui parea quel suono a punto
che rompendo suol far corda di lira.
Ond'han, come tu di', somma ragione:
corser ancor bramosi a rimirarlo
con meraviglia i popoli lontani. 455
E s'ha ben da tener Fiorenza altera
di tanto marmo, è l'ha da ceder Roma,
ch'è d'archi, di colossi e di trofei
sovr'ogn'altra città famosa e chiara.
E di qui mi sovvien che l'età nostra, 460
se non di maggior gloria almen di pari
è degli antichi secoli più degni,
in cui fiorì d'ogni scienza ed arte
l'intero pregio e la beltà perfetta;
poi che questo anco in lei chiaro si vede 465
ed obbligo sentir ne deve a Flora,
i cui figli più saggi han tratto fuore
da la cieca ignoranza, ove sepolte
l'avea tenute il variabil tempo
l'arti più chiare e le virtù più belle. 470
Quant'anni fur sotterra, oscuri e spenti,
poeti ed oratori in cui risplende
d'ogn'arte liberale intero lume?
Quanti che gli architetti, e gli scultori
ed i pittori in cieca notte furo? 475
Or questi in Dante, nel Petrarca, e 'n quello
più gentil prosator de' tempi nostri,
in Filippo, in Donato e ne l'illustre
Michel più che mortale angel divino,
in Andrea, nel Bronzino, in Giotto e 'n altri 480
di cui per brevità non dico il nome,
son risorti a la luce e giunti al segno,
ch'a l'ingegno mortal varcar non lice.
Ed or l'arti di questi, e le dottrine
ne la nostra città vivon famose 485
in molti, che tu sai, di ch'io mi taccio
per che chiaro ne parla altero grido,
che con l'aurata tromba in ogni parte
fa d'essi risonar l'altera fama.
Or se spirto gentil più ch'i tesori 490
val della ricca terra e più ch'i regni,
quanto è ricca Fiorenza, che di tanti
nobili ingegni e chiari spirti è madre?
E quanto è ricco e degno il gran Francesco,
che con tanto valor, con tanto senno 495
la possiede, e governa e con la luce
del bell'animo suo l'illustra tanto?
Di ch'io, s'al gran desir dietro lasciassi
correr la lingua, avrei da dir gran tempo
cose di loda e vera gloria degne. 500
Ma io no 'l fo, che non parer vorrei
di quella orrenda e brutta macchia tinto
de' vani adulatori. Al tempo lascio,
ch'in ogni loco è portator del vero,
che le sue glorie alteramente spieghi, 505
ed a l'eternità porti e consacri».

Mi. «Non ha mai da temer ch'altri il riprenda
d'adulazion quei che dimostra il vero,
però di' pure». Er. «Il luogo no 'l comporta.
Un giorno, a miglior tempo, avremo spazio 510
di dirne a pien. Potremmo or troppo forse
da la proposta via parer lontani
a cui tornando, assai mi meraviglio;
da poi che sempre i simulacri ho visto
del forte Alcide, a gli occhi altrui mostrava 515
un'uom di piena barba in viso altero
perché, chi fè l'antico simulacro,
nuovamente apparito, un di verd'anni
giovinetto leggiadro il componesse».

Mi. «Volse forse in tal modo esser mostrato 520
ne la sua vaga età l'altero nume
che ben paion di lui le forti membra
e gli apparenti muscoli e le vene».

Er. «M'hai sodisfatto in ciò, ma perché credi
dovendo Ercole invitto esser da l'onde 525
tratto a la terra, che volesse sempre
resister ad ogn'altro, e da le chiome
così lasciarsi agevolmente trarre?
E perch'egli abbia ancor voluto poi
con le chiome intrecciar la seta e l'auro?». 530

Mi. «Tu puoi ben per te stesso, Erilio mio,
che non del tutto hai losco veder tratto
da la madre natura, investigarlo.
Ben cred'io che non sia senza mistero,
e potremmo tra noi farne parole, 535
se già non fosse tardi. Un'altra volta
potrem vederci, or cosa mi rammenta
ch'ho da fornir altrove, ma ti prego,
se stasera non puoi, diman ti stendi
a veder quel miracol sì subblime, 540
ch'alcun non dee, che può lasciar di farlo».

Er. «M'hai di ciò gran desio nel core acceso
e pria forse v'andrò che parta il sole».

Descrizione

Nell’egloga è rappresentato il dialogo tra i due pastori Erilio e Mirenio a proposito della scultura del Giambologna il "Ratto delle Sabine". In alcuni tratti, l'egloga riprende i versi e i concetti dei componimenti precedenti del libro; per tutto il testo è visibile il gareggiamento tra l'artista moderno e gli artisti antichi, con la ripresa degli aneddoti del cavallo di Eromide e della disputa tra Zeusi e Parrasio.
Erilio ammette di non aver ancora né visto, né sentito parlare della scultura perché occupato dalle proprie pene d'amore, ne chiede a Mirenio, che inizia una presentazione dell'opera: come prima cosa la descrive, sottolineando la bellezza della Sabina e la muscolatura del giovane romano. Prosegue presentando le diverse interpretazioni della scultura, concentrandosi soprattutto su quella che guarda alla fanciulla come un'allegoria dell'arte rincorsa dall'artista, di cui il vecchio rappresenterebbe il lungo studio (come era scritto nel componimento di Bernardo Davanzati in questo stesso volume). Mirenio racconta poi una breve biografia del Giambologna, concentrandosi sulle sue orgini, la sua formazione a Roma e il suo arrivo a Firenze. Le lodi della scultura proseguono con le storie nate intorno alla sua creazione, e Mirenio ne presenta due: nella prima, l'idea iniziale dello scultore era di rappresentare una fanciulla, ritratta talmente bella da destare l'amore di un giovane che impietosì Venere. La dea avrebbe dato così vita alla statua, ma la fanciulla, prendendo vita, si sarebbe sdegnata degli abbracci dell'amante, rimanendone impietrita, e insieme a lei si tramutarono in pietra il giovane per il dolore e l'artista per lo stupore (questa versione si trova nel componimento di Piero di Gherardo Capponi). La storia però non è accreditabile, dice Mirenio, che afferma di aver visto girare per Firenze il Giambologna. La seconda narrazione, invece, vuole che il giovane rappresentato sia Ercole. La scultura sarebbe giunta sulle rive toscane, ma il trasporto poteva avvenire solo con una fune fatta dalle chiome bionde di tutte le ninfe, così come Ercole stesso avrebbe rivelato in sogno al granduca Francesco I de' Medici. Una fanciulla altera, però, non concesse ciocche della sua chioma, per cui la fune non funzionò. Solo la presenza in spiaggia della fanciulla riuscì a destare l'Ercole marmoreo, che si mosse per prenderla. A questo punto intervenne Nemesi che, per punire la superbia della fanciulla, la bloccò nel marmo insieme a Ercole, e rimase bloccato nella trasformazione anche un vecchio che, avendo a cuore la fanciulla, si trovava lì in spiaggia e aveva tentato di intervenire. Il trasporto a Firenze del gruppo scultoreo consente al poeta di innalzare un encomio del granduca Francesco I e di Firenze, esaltata come città che ha dato i natali ai più grandi artisti e letterati del tempo.


Opere d'arte


Bibliografia

  • Mexia, Pedro, Selva di varia lettione [...], Brusoni, Girolamo; Dionigi da Fano, Bartolomeo; Roseo, Mambrino; Sansovino, Francesco, Venezia, Pezzana, Nicolò, 1670
    (cap. XXIII della seconda selva, p. 632 per la storia del cavallo di Eromide in Altino d'Olimpia)

Libro
Alcune composizioni in lode del ritratto della Sabina 1583
Alcune composizioni di diversi autori in lode del ritratto della Sabina. Scolpito in Marmo dall'Eccellentissimo M. Giovanni Bologna, posto nella piazza del Serenissimo Gran Duca di Toscana, In Firenze, nella stamperia di Bartolomeo Sermartelli. MDLXXXIII.
Sezione
Del Signor BERNARDO VECCHIETTI. Nel Ratto delle Sabine scolpito in marmo da Messer Giovanni Bologna
Pagina
pp. 23-45
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Metro
egloga (543 versi)

Categorie
paragone tra le arti; encomio d'artista; miti pagani; storia antica
Soggetti
affetti; Altino d'Olimpia; Andrea del Sarto; anteporre; antichi secoli; Anversa; Apollo; architetti; arco; Arno; arte; arte e natura; arti liberali; Atene; Atlante; bellezza; Boulogne-sur-mer; bronzi; Bronzino; Cambise; carne; chiaro marmo; Colosso; Corinto; credere; Dante Alighieri; desiderio; Dionisio d'Argo; discipline; disdegno; dolore; Donatello; dotta mano; dotto scultore; dottrina; Douai; Egitto; Ercole; Eritrei; espresso; fabbro; fama; Filippo Brunelleschi; finestra sul cuore; fingere; finto; Firenze; Fiume Scarpe; Flora; forma; Formide; Formione; Francesco I de Medici; Francesco Petrarca; freddo marmo; Giambologna; Giotto; Giovanni Boccaccio; gloria; Granduca di Toscana; idea; immobile; inganno; ingegno; intagliare; intelletto; invidia; ira; loggia; luci; maniera; mano; marmo; Mar Tirreno; Mauri; meraviglia; Michelangelo Buonarroti; mirabile; miracolo; mirande cose; mirare; moderni; mostrarsi; Natura; naturale istinto; Nemesi; Nesto Licea; occhi; opera; oratori; Ovidio; parere; parlare; Parrasio; Partenio; penna; pensiero; perfetto; pietra; pittori; poeti; prato; pregio; rapire; Ratto delle Sabine; rimirare; Rodi; Roma; sacro marmo; saggio artista; sapere; sasso; scalpello; Schelda; scienza; Sciti; scolpire; scorcio; scorgere; scultore; sembrare; sensato; senso comune; Seravezza; simulacro; Smirne; Sparta; spirare; spirito; spirto vitale; statua del cavallo di Eromide; studio; stupido sasso; stupore; sublime; Tebe d'Egitto; tempo; Tiro di Fenicia; trarre; trofeo; uva; vedere; velo; Venere; virtù; vista; vita; vivere; vivo; voce; Zeusi

Nomi collegati

Responsabilità della scheda: Maria Grazia Acquaroli, Clizia Carminati | Ultima modifica: 7 marzo 2024