Stupor de la Natura, onor de l'Arte
Autore: Bruni, Antonio
All'eminentissimo e reverendissimo signor cardinale Spada per due pitture vedute nel Palazzo di S. Eminenza, l'una del rapimento d'Elena, di mano del sig. Guido Reni e l'altra di Didone trafitta su la pira, opera del Guercino da Cento. Canzone
Stupor de la Natura, onor de l'Arte,
tua mercè, pur rimiro in tela espressi
i pregi altrui, ch'idolatrando io lessi
in argolico stil, latine carte.
Ecco il lino animato a gli occhi esprime 5
l'ideo pastor, de la beltà l'idea,
ch'è frigia meraviglia e pompa achea,
de l'italico Apelle opra sublime.
La bella greca al giovane troiano
già fu rapina a suoi desir gradita 10
e disciolse la vergine rapita
i gridi al ciel, le trecce a l'aura in vano.
Già di tanto tesor vedove e prive,
per insolita via correndo al Xanto,
più che d'umor vedeansi ebre di pianto 15
d'Inaco l'onde e d'Acheloo le rive.
E già tosto ch'aperse i primi albori
a l'Asia del bellissimo sembiante
adultera in amor, lasciva amante,
arse a Scamandro i flutti, ad Ida i fiori. 20
Ma pur oggi nel lino al patrio lito
Pari, ch'altrui non ha pari nel viso,
pur lei rapisce, onde resta anciso
e ne la sua rapina anco rapito.
Ben veggio in lui, se lui contemplo e guardo 25
vagheggiator del vagheggiato volto
col vezzo in bocca a lascivir rivolto
il lusso del color, ma più del guardo.
Ritratti ancor, miracoloso Amore
gli arde fra l'ombre e 'l foco lor non cela, 30
e se da lor non miro arsa la tela
è di pennel miracolo maggiore.
Tremanti sì, ma nel mirar non lassi
volgono gli occhi a l'amorose prove,
ma per molle sentiero impenna e move 35
il volo il cor, più che la pianta i passi.
De la coppia d'Amor ebra e seguace
è precursore Amor, ma stella e guida
è di lei la beltà cupida e fida
vie più che di Cupidine la face. 40
Ma come avvenir può, ch'ella s'avvezzi
nel tuo albergo, ov'Apollo ha 'l simulacro,
a trattar sì profana in loco sacro
varie lascivie e la lascivia i vezzi?
Se di greca eloquenza amico fonte 45
ne l'eccelsa magion lor corre avanti,
come da Grecia i fuggitivi amanti
ne l'eccelsa magion volgon la fronte?
Qui, di cura real gravido il seno,
spieghi i pregi de l'ostro e de la penna 50
famosissimo al par s'unqua a la Senna
giugni dal Tebro o se dal Tebro al Reno.
Non intrecci di mirti altri le chiome
qui, dove a te l'intreccia o lauro o palma;
non sia ratto d'Amor, dov'hai la palma 55
di rapir a l'oblio famoso il nome.
Da la sacra magion dunque se 'n vada
lungi la coppia effeminata e molle.
Miri ch'incontra lei la punta estolle
già di Febo lo stral, d'Astrea la SPADA. 60
Ma quale a gli occhi miei s'offre novella
opra d'Amore? A qual di morte acerba
apparato d'orror, scena superba,
or guida i guardi miei tragica stella?
Veggio pur'io l'innamorata Elisa 65
al suo spirto che fugge aprir la via,
onde scerner non so s'ella più sia
arsa nel rogo o più nel sangue intrisa.
E seco miro anch'io pietosa cura
mostrar su lei l'addolorata suora 70
che sospira e che piagne, ond'avvalora
col pianto il foco e co' sospir l'arsura.
Sembra vivo il color se 'l miro intento
e ben opra è di lui ch'illustre e chiaro
de la canora dea discioglie al paro 75
inver la gloria e cento penne e cento.
Né dev'ella mostrar nel regio tetto
su 'l rogo in pria d'Amore, indi di morte
de la vita le fila o tronche o corte
incenerita il cor, svenata il petto. 80
Sol ne la reggia tua nutre e conserva
il ciel tra varie imagini ingegnose,
o magnanimo eroe d'opre famose,
la clemenza e 'l valor, Febo e Minerva.
Ah, ben leggo il magnanimo pensiero: 85
de la gemina imagine discerno
non vulgare il concetto, il senso interno
e certo invariabile il mistero.
Vuoi che guardo modesto, alma pudica,
argomenti infallibili n'apprenda 90
se fia ch'a contemplar su i lini intenda
l'afflitta Dido e la rapina antica.
Chi di teneri mirti avvolge il crine
fugga i furti d'Amor, saggio et accorto.
A chi da due begli occhi in terra è scorto, 95
s'è principio l'Amore, il rogo è fine.
Se 'l frigio involator, d'Amor campione,
l'adorata bellezza ha sempre appresso,
volge, rivolto in cenere sé stesso,
in fiamme l'Asia, in cenere Ilione. 100
S'al troian peregrin l'anima inchina,
da lo strale d'Amor ferita e vinta
giace da l'armi de la morte estinta
di Cartago la nobile reina.
Par che 'l saggio pittor fregi et allumi 105
con l'ombre de' colori e de' pennelli
quei de' furti d'Amor pregi novelli
viè più che co 'l disegno e che co' lumi.
Fuma l'accesa e 'insanguinata pira,
ov'omicida e vittima è pur Dido 110
e 'l caro amante e fuggitivo infido
con gli aliti di morte anco sospira.
Quinci cortese il ciel questo n'adombra
veracissimo senso a gli occhi miei;
fuggi lascivo Amor, se saggio sei 115
la gioia è un fumo et è 'l diletto un'ombra.
Descrizione
Il componimento, dedicato a due dipinti custoditi nel palazzo di Bernardino Spada, ossia “Il ratto d'Elena” di Guido Reni e “Morte di Didone” di Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino, riferisce innanzitutto come il poeta abbia potuto vedere rappresentati sulla tela antichi personaggi letterari grazie al contributo pittorico di due artisti paragonabili ad Apelle. L’autore del testo inizia celebrando l’opera di Guido Reni, in particolare il rapimento di Elena da parte di Paride, il dolore suscitato nel suo popolo a seguito della sua partenza e il suo arrivo sulle coste orientali. Inoltre, il poeta aggiunge che la loro profana passione e lascivia, avente come guida Amore, è inadatta alla "magione" di Spada, consacrata ad Apollo. L’autore del testo passa poi a presentare l’altra opera, ossia quella avente come soggetto Didone, la regina cartaginese che per amore di Enea si trafisse con la spada – termine non casuale dal momento che si collega al cognome del possessore del dipinto –, sottolineando come catturi gli sguardi dei suoi osservatori; non riesce però a capire se la donna, abbandonatasi a sospiri e lamenti, sia più arsa dal fuoco o intrisa di sangue. A questo punto, il poeta aggiunge che le immagini sembrano vere e capaci di dischiudere i concetti e i misteri più profondi e che osservandole è possibile trarre degli insegnamenti, in particolare su come l’ardore della passione porti alla consunzione e alla distruzione (infatti Ilio/Troia e Cartagine vennero rase al suolo).
Opere d'arte
- Libro
-
Bruni, Veneri 1633
Bruni, Antonio, Le Veneri poesie, In Roma, appresso Giacomo Mascardi, MDCXXXIII.
- Sezione
- Delle Veneri La Celeste poesie.
- Pagina
- pp. 48-55
- Vai al testo originale
- Metro
- canzone (29 stanze, 116 versi)
- Schema
- ABBA
- Categorie
- encomio d'artista; iconografia profana; miti pagani
- Soggetti
- Acheloo; adombrare; allumare; Amore; animato; Apelle; Apollo; apparato; arte e natura; Asia; Astrea; Cartagine; colore; Didone; disegno; Elena di Troia; famoso; fregiare; gloria; immagine; ingegnoso; intento; lascivia; lino; lume; magione; Minerva; miracolo; mirare; oblio; ombra; opra; Paride; pennello; poesia; rapire; ratto d'Elena; Reno; rimirare; ritrarre; saggio pittore; scena; sembrare; Senna; senso; senso interno; spada; tela; Tevere; Troia; verace; vivo; Xanto
- Nomi collegati
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Spada, Bernardino
(dedicatario e possessore delle due opere d'arte, citato nel testo) -
Apelle
(antico pittore greco, citato nel testo)
-
Spada, Bernardino